I CERBIATTI DI NARA

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Vuoi essere ad Osaka e non andare a visitare Nara ed i suoi cerbiatti? Assolutamente impensabile! La città di Nara un tempo era la capitale del Giappone ed infatti qui si trovano alcuni dei templi più significativi di tutto il paese, ma diciamoci la verità i cerbiatti sono diventati la vera attrazione cittadina e non è un caso che appena giunti alla stazione ferroviaria di Nara una bella gigantografia dei suoi abitanti a 4 zampe appare difronte ai nostri occhi con accanto piccolo angolo fotografico, generalmente dedicato forse ai bambini, dove immortalarsi con cerbiatto finto al seguito. Ma non si dovrà fare molta strada a piedi per incontrare il primo di una lunga serie di cervi che se ne va a spasso libero per la città a caccia ormai di biscotti, quelli che venditori ambulanti e negozi vendono abitualmente ai turisti per sfamare, si fa per dire. Queste simpatiche creature, che nel frattempo, sono diventate sempre più ingorde di biscotti, tanto da essere ben predisposte all’inseguimento appena sentono il rumore di qualche sacchetto che si apre. Intendiamoci non sono belve feroci fare la loro conoscenza e spupazzarseli un pochino è davvero una gioia ma vi consiglio di evitare tali avvicinamenti proprio nei pressi dei siti turistici più frequentati dove sono ormai troppo abituati alla presenza umana e possono diventare molesti. Noi il nostro “momento cerbiatto” l’abbiamo trovato all’interno di un sottopassaggio dove abbiamo trovato riparo, mentre una pioggia intermittente si abbatteva sulle nostre teste.


TRAVEL DIARY: what can happen when you arrive in India

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The pandemic has completely upset the balance of entire populations, changed the way of life of every single individual, at least of those who were used to travel, to discover the world, to be completely immersed day after day, in the journey both physical and mental. . The news, the newspapers, and the web had fun transforming this period of pandemic into a kind of labyrinth for the mind that began to struggle about what the future could be for those like me who live every moment of this earthly life with the I always vividly remember the beautiful and even ugly emotions, linked to places in the world that we have traveled even a few meters and this is how we learn to live with the spotlights on all those countries that after visiting inevitably become part of us and it is precisely when you hear them or read their name somewhere that the chills come. Intense chills also made of fear, as happened to me a few days ago, when I learned the news that in India, my INDIA, has once again fallen into the endless and devastating abyss of the corona virus, a news that leaves me even more speechless if only I think that just a couple of months I had rejoiced with them in learning that this terrible monster seemed defeated, now a new variant even more contagious and only those who have visited India without filters can understand what they want say this blow again, and that’s why out of every scheme, just like I am, I want to tell a travel page in which no place, no monument, no tour is told, but only the sensations of an arrival, an arrival that from that moment on, even if I didn’t know it yet, it would have changed all my mental patterns, all my emotional conditions, perhaps too fragile at that moment, an arrival from which emotionally I have not never returned, an arrival whose name is well engraved in the head and heart and which is called India.

A cold Italian February and a plane flight to New Delhi bought many months back and in my head the road trip I had it very clear, I wanted to see the famous Taj Mahal, I wanted to travel the streets of Jaipur and finally get in touch with it spirituality to which in an inexplicable way I felt so much attracted, to which I had approached perhaps in an even stronger way probably during my first trip to Asia, to Sri Lanka to be exact, considering the tear of India that had set fire again more deeply my strong attraction to Asia.

Unfortunately, however, things in life take a different turn and a little more than a month before my departure or rather from our departure, that of mine and my travel and life companion, the loss of our beloved and completely humanized crawling completely changes the our center of gravity and although for most people a feeling of such strong bond and deep love for an animal can be incomprehensible, for us it was such a hard blow that it did not give us the strength to think about any planning, so much so that we took the decision to leave equally without a precise destination other than that of having booked a week in a super super cheap hotel room in an equally super cheap neighborhood of New Delhi, Parangaji. The Lufthansa flight is punctual we arrive in India in the middle of the night, upset not so much by the route but by that whirlwind of emotions that now after the death of our Ale were floating in the heads of both and to which we could not give any answer.

I had read galore about things to do once we reached their destination and under a normal circumstance certainly neither I, even less my partner, would have been so terribly naive and unconscious as to entrust us to a taxi, which was not a taxi. in the hope that it would lead us to that address that I so shyly show him, written on a neat sheet of paper. Too bad that as soon as we get into the car we risk ending up in the opposite lane because together with the alleged taxi driver there was a driver who is taken by a sudden fall asleep from which he wakes up just in time to avoid the car that would have overwhelmed us in a few minutes . But when our hands reached the chest as a sign of deep gratitude to heaven for the narrow escape, we find ourselves in a place that was not at all the one indicated on the white sheet of paper but only the shabby office of a travel agent who he wanted to give us a much more expensive hotel than the one booked from Italy. The “alleged travel agent” type is very shrewd and with good interpretative skills, so much so that he staged a phone call directly with the reception of my hotel (which my hotel is not) and informs me that they were closed for the elections policies. In fact you find out

Dove trovare angoli di Asia a Palermo

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In via dei Candelai numero 33 esiste un tempio di nome Mariammen Kovil dove tutta la comunità induista di Palermo s’incontra per vivere la fede e la tradizione di un popolo che ha saputo integrarsi con armonia all’interno di una delle città più multietniche d’Italia, una città dal sapore esotico dove bellezza architettonica, storia e cultura s’intrecciano in un abbraccio denso di straordinaria passione, facendo di Palermo una città unica nel suo genere.
Dopo la mia seconda visita alla città di Palermo spero ancora di poterci tornare altre mille altre per tantissimi motivi tra i quali il principale è quello di ritrovare in qualche maniera la cultura induista che qui è ben salda tra la nutrita comunità di induisti divisa tra mauriziani, tamil dello Sri Lanka, induisti del Bangladesh, dell’India e del Punjab.
La comunità induista che risiede a Palermo è ben integrata e a frequentare il tempio settimanalmente sono circa 150/200 persone, un luogo comunque aperto a chiunque voglia dedicare una preghiera indipendentemente dal credo religioso così come ho fatto io, arrivando nella città in un assolato sabato pomeriggio di metà ottobre. Incredibile non è solo vedere come questa comunità sia ben inserita ma come nel corso del tempo le loro abitudini e tradizioni si siano mantenute ben salde, come per la celebrazione della festa estiva dedicata al Dio Ganesh, figlio di Shiva e Parvati, che si festeggia generalmente tra agosto e settembre, ricorrenza alla quale un giorno spero di poter partecipare anche io. La festa di Ganesh è un’occasione di festa per gli Induisti di Palermo e quelli di altre comunità che fanno anche un lungo viaggio per non perdersi i rituali presenziati da Goburdhun Dayanand, il presidente Ganesh Mandir Palermo, inoltre spesso vi presenziano anche autorità locali come il sindaco di Palermo stesso. Il cerimoniale in onore della divinità con la testa di elefante prevede una processione della statua di Ganesh che, per l’occasione, viene abbellita di fiori rigorosamente veri e altri abbellimenti ecologici che poi, una volta arrivati in spiaggia, si disperdono tra le acque del mare dove la statua viene immersa come simbolo di purificazione per tutti. Ganesh è una delle divinità più venerata dell’Induismo si dice che sia la forza dell’elefante di cui ha il volto e la forza del topo, le preghiere a lui rivolte hanno il compito di conferire forza fisica e mentale eliminando i problemi.
Ma a Palermo se ci si vuole immergere in questo suo aspetto multiculturale e trovare qualche scorcio d’India lo si può fare entrando in qualche negozio di abbigliamento o oggetti quasi tutti made in India di via Maqueta oltrepassata la bella piazza Massimo in direzione stazione, qui piccole botteghe di bigiotteria o abiti indiani si mescolano con altrettanti oggetti provenienti dal nord Africa. Oltre alla buonissima gastronomia siciliana a Palermo ci si può sempre concedere un buon piatto di curry indiano e molti altri piatti della tradizione, cucinati abbastanza bene, da provare assolutamente il Bombay Grill e Curry in via Maqueda 183 dove trovare i classici samosas oppure il biryani, un piatto di riso disponibile sia nella versione vegetariana che con carne.
Insomma mi rendo conto di essere in costante crisi di astinenza da Asia e durante il nefasto 2020, anno di pandemia in cui tutti i miei spostamenti verso l’Asia e non solo sono saltati, il mio viaggio in Sicilia ed in particolare a Palermo è stato un pò il mio rimedio contro il mal d’Asia, oltre al fatto che Palermo è una città della quale ci si innamora al primo colpo d’occhio.

COSA FARE A SINGAPORE: traghetto per l’isola di Batam in Indonesia e bus per la città di Johor Bahru in Malesia

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Singapore è una città stato davvero incredibile, pulizia, scelte ecosostenibili ed un grande rispetto per le culture diverse la rendono un luogo dove dolce è la permanenza, sia essa breve o un pochino più lunga.


Sono passati ormai dieci anni da quando ho visitato per la prima volta Singapore che mi è da subito sembrata molto diversa dal resto dell’Asia che tanto amo, pulizia in ogni luogo, ordine e disciplina anche negli incroci più ingarbugliati, insomma un territorio oltreoceano che merita l’appellativo di “Svizzera d’oriente”. Sono molte le cose che si possono fare a Singapore e alcune di esse prevedono di varcare i confini e di recarsi in Malesia o In Indonesia. Una delle escursioni sicuramente non molto gettonate tra gli occidentali è quella di prendere un traghetto per raggiungere l’isola indonesiana di Palau Batam, che insieme a Palau Bintan compone l’arcipelago delle Riau. L’isola di Palau Batam è raggiungibile dal porto di Singapore con una corsa in traghetto per la durata di circa cinquanta di minuti, il costo del traghetto è di 23 euro ed il tempo per il disbrigo delle formalità frontaliere è abbastanza rapido. Una volta giunti a Palau Batam si può scegliere di partecipare ad un tour dell’isola, un giro del territorio molto gettonato dai turisti asiatici al quale per curiosità decidiamo di aggregarci al costo di 25 euro a persona. La prima tappa di questo tour è una passeggiata in uno dei più grandi centri commerciali dell’isola famosi per avere la possibilità di acquistare merce griffata che solo in pochi casi è originale e che nella maggior parte è un falso davvero fatto bene che per l’occhio meno esperto come il mio è difficile da distinguere, pare infatti che Palau Batam sia uno dei luoghi al mondo dove si confeziona il miglior fake tra magliette, borse, occhiali da sole tutti acquistabili senza tasse aggiuntive. Attività che non mi interessa particolarmente se non per il fatto che in questi enormi casermoni dello shopping generalmente si trova qualche interessante snack locale, oltre ad essere particolarmente curioso vedere come ormai il mondo si sia globalizzato ed il desiderio di possedere oggetti materiali griffati sia ormai fuori controllo.

Seconda tappa del giro turistico è una tappa al tempio di Maha Vitara Maitreya un luogo dove si respira silenzio e ci si distacca dal trambusto dello shopping. A seguire si raggiunge un piccolo parco dove ci sono diversi modelli di costruzioni indonesiane, dalle classiche abitazioni dell’isola di Bali a quelle inconfondibili del Sulawesi con il tetto a forma di corno di bufalo, interessante come luogo anche se non particolarmente esteso. La tappa per il pranzo è sicuramente il secondo motivo, dopo lo shopping, che spinge, gli asiatici soprattutto, a fare un tour sull’isola di Batam, ovvero i ristoranti di pesce molto caratteristici, spesso allestiti su palafitte a ridosso della terra ferma dove si può mangiare pesce in tutti i modi, particolarmente gettonati i crostacei che si possono ordinare direttamente dalle loro vasche di allevamento e cucinati all’istante. Devo dire di non aver mai visto una tale varietà di pesce in un solo ristorante e nonostante dieci anni fa non fosse ancora del tutto vegetariana, non sono riuscita ad assaggiare nemmeno un quarto di quello che in brevissimo tempo è arrivato al tavolo, pesce in tutte le salse, cotto e crudo, sul quale i miei simpatici compagni si sono fiondati in un batter d’occhio. Probabilmente non tornerei mai più a Palau Batam ma è stata di certo un’escursione divertente che mi ha permesso in qualche modo di entrare ancor meglio in contatto con il popolo asiatico e di capire come a pochi chilometri possano esserci così tante disparità sociali come quelle tra Singapore e l’Indonesia.
Altra interessante escursione, sempre effettuabile da Singapore in una sola mezza giornata, è quella verso la città malese di Johor Bahor, a soli 40/50 minuti di bus dalla città con incluso tempo necessario per attraversare la frontiera, almeno nei momenti di minor affluenza. I tour verso Johor costano sui 30 euro ed includono la tappa alla moschea di Sultan Abu Bakar una bella struttura color bianco con enormi minareti affacciata sulla in posizione sopraelevata rispetto alla città, dalla quale si gode di un discreto panorama. Questa moschea è molto ampia, può accogliere fino a 2000 fedeli e spesso viene utilizzata per incontri istituzionali. Lasciata la moschea si fa visita a qualche fabbrica di batik della zona, la Malesia detiene il primato per le stoffe dipinte a mano con le quali si realizzano abiti, borse e fantastici teli da appendere per decorare le pareti di casa con raffinatezza. Si potrebbe stare ore e ore ad osservare la grande maestria delle donne che dipingono le stoffe come pittrici davanti alla loro tela, un’abilità antica ancora diffusa in Malesia ed anche in molte zone dell’Indonesia. L’ultima tappa generalmente è la sosta in un qualche villaggio locale, il cosiddetto kampung, dove ci si immerge nella vita più rurale della Malesia tra bellissimi alberi di frutta esotica e piante officinali raccontate da guide del luogo. Per concludere si assiste a qualche danza tipica che intrattiene i turisti, il tutto finalizzato alla vendita di prodotti locali come saponette, tisane e via di seguito, un’esperienza turistica sicuramente ma al contempo molto interessante e soprattutto distensiva.

5 cose da fare nella città di Seul

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Seul non è una di quelle megalopoli che può essere visitata in fretta,soffermandosi magari solo sul suo aspetto estetico,sempre più spesso associato ai suoi alti e specchiati grattacieli o ai quartieri interamente destinati allo shopping. Un paio di giorni saranno appena sufficienti per vedere solo una piccolissima parte di questa città estesa e profondamente devota alla tecnologia. Nel caso la visita di Seul sia limitata ad un paio o addirittura un solo giorno ecco allora 5 cose da fare assolutamente in città:

  1. Seul è una città molto grande e le cose essenziali da visitare non sono poi tanto vicine le une alle altre quindi,in caso di tempi super ristretti, per vedere la città è bene prendere come ostello o hotel qualcosa che sia posizionato nei pressi della Seul Station in modo da essere comodi agli spostamenti in metropolitana. Partendo proprio dalla Seul Station consiglio di dirigersi subito verso la Namsan Tower alla quale si può arrivare prendendo una cable car che sale sulla Nam Mountain, una montagna sulla quale sorge questa torre di comunicazione,diventata il simbolo della città e che di sera s’illumina di una luce scintillante. Il percorso per salire sulla torre si può fare anche a piedi ma richiede almeno un’ora buona dalla base, situata più o meno vicino all’Hotel Millenium Seul Hilton ad una decina di minuti a piedi dalla stazione di Seul. La vista dalla cima della torre offre una panoramica a 360 gradi della città di Seul.
  2. Il palazzo storico più importante di Seul e forse di tutta la Corea del Sud è senza dubbio il Gyeongbokgung Palace una residenza reale molto estesa con all’interno un bellissimo giardino segreto. Il Palazzo è stato costruito sotto la dinastia Joseon ed è anche chiamato Palazzo della dinastia splendente per via dello spirito idealistico di chi lo ha fondato. Questa struttura molto grande fu costruita su di uno stagno ed inizialmente veniva utilizzata per riunire autorità istituzionali, in seguito fu utilizzato anche per la celebrazione di rituali che fossero di buon auspicio anche per il popolo come cerimonie per la pioggia durante i periodi di siccità. Il Palazzo Reale è uno dei luoghi più visitati della città di Seul e non è affatto raro vedere turisti di ogni nazionalità in visita alla struttura vestiti con gli abiti tipici della Corea del Sud, noleggiabili in molti negozi dei dintorni, un abbigliamento questo che, oltre ad essere molto carino, è un’ottima idea per immergersi nella tradizione locale e che permette anche di entrare gratuitamente nel Gyeongbokgung.
  3. Molto meno celebre del Gyeongbokgung e molto spesso ignorato dai visitatori è il Jongmyo Shirne, un santuario tra i più antichi della Corea del Sud inserito tra i beni Unesco, una vera chicca con pochissima gente,generalmente ci si arriva dal Gyeongbokgung in una decina di minuti a piedi attraversando Bukchon, uno dei quartieri più caratteristici di Seul dove all’interno delle tipiche case coreane, perfettamente ristrutturate, sono stati allestiti ostelli, piccole botteghe e ristoranti tipici. Il Jongmyo Shrine si trova precisamente in via Jong- ro 157 e se ci si reca verso l’ora del tramonto si ha la possibilità, non solo di visitare il piccolo santuario illuminato di una luce intensamente mistica ma anche di vedere la Namsan Tower dal piccolo e curato giardino che circonda il tempio, un’angolazione forse tra le più belle della città che si può avere sulla famosa torre.
  4. Psy la cantava con il suo Gangnam style ed oggi il celebre quartiere Gangnam di Seul è diventato tra i più importanti della città e non solo per il ritmo spassoso della canzone che in qualche modo ha raccontato la trasformazione di un quartiere di degrado ad uno dei più lussuosi agglomerati della città. A Gangnam si viene per fare shopping di lusso, per bere caffè nei bar lussuosi dei centri commerciali, ma anche per regalarsi un ritocchino estetico. Molte le star internazionali che volano a Seul per un’operazione chirurgica visto che la Corea del Sud è il primo centro di chirurgia estetica al mondo, non è raro incontrare per strada donne e uomini, avvolti in qualche bendaggio facciale appena usciti da una delle tante cliniche che caratterizzano la zona. In Corea del sud non sono consentite imperfezioni e si insegue disperatamente un modello di perfezione estetica.
  5. Ma se le food Court, come ad esempio quella della Seul Station, sono un tripudio di odori e sapori dove ci si affolla in qualsiasi orario del giorno per mangiare la cucina tipica della Corea del Sud, è nei mercati di Seul che si respira il vero spirito della tradizione culinaria locale, dove gustare tra un baracchino e l’altro, in piedi e magari con poco spazio per muoversi, uno degli street food più apprezzati dell’Asia. Il Namdaemun Market si trova poco distante dalla stazione dei treni di Seul e lo si raggiunge in poco tempo passando sul cavalcavia sopraelevato chiamato Seullo, che è diventato un’attrazione stessa della città, perché qui si ha la possibilità di passeggiare tra qualche pianta e qualche piccolo stand che periodicamente espone merce locale o che semplicemente diventa una postazione interattiva per i più piccini, insomma una sorta di parco elevato dove fare foto ai palazzi di Seul senza l’incubo delle automobili. Superato il cavalcavia si segue l’indicazione per il Namdaemun Markat e si arriva in pochi minuti, vi è anche un punto info dove reperire la cartina della città e del mercato stesso che a farlo in ogni sua traversa e fermandosi a curiosare tra i tantissimi negozi può richiedere ore. Qui non ci sono attese per ottenere un tavolo al ristorante ma di sicuro bisogna mettersi in fila per mangiare i Teokbokki, gli gnocchi di riso immersi nel sugo di pesce oppure per gli Hoddeok i favolosi pancakes con cannella e nocciole, una bomba. La cucina Coreana vede come protagonisti il pesce di ogni forma e varietà(alcuni tipi di pesce delle quali a volte si ignora l’esistenza in natura) e la carne, quindi forse poco adatta a chi come me è vegetariana ma anche golosa di dolci e qui non mancano di certo le dolcezze. Da non perdere il Sikhye una bevanda molto diffusa in Corea del Sud consumata prevalentemente in estate per via del suo potere rinfrescante, un beverone che a vederlo girare vorticosamente nei grossi boccioni in cui è contenuto sembra poco invitante ma che invece si rivela essere davvero gustoso, un liquido di colore beige ottenuto dalla fermentazione del riso, assolutamente analcolico ma perfetto per concludere una giornata a spasso della frenetica città di Seul.

Dal palazzo reale di Gyeongbokgung al tempio di Jongmyo, due luoghi imperdibili della città di Seul

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Seul ha fatto un passo avanti talmente grande da aver in qualche modo dimenticato le sue radici più profonde che rimandano alla storia antica del paese. Ma se la sagoma della città è ormai ben definita dagli alti grattacieli, che spuntano come fiori in ogni angolo, esistono ancora dei posti che richiamano al passato, come il palazzo reale di Gyeongbokgung, costruito e ricostruito più volte sotto la dinastia Joseon.
Gyeongbokgung è sicuramente il sito storico più visitato di tutta la città di Seul, si arriva comodamente in metro prendendo la linea 3. Si può scendere sia alla fermata Anguk, dalla quale il palazzo dista circa 5 minuti a piedi o a quella di Jongno distante una decina di minuti se si percorre Donhwamun Street sulla quale sorgono diversi negozi.


Il biglietto d’ingresso per il palazzo reale di Gyeongbokgung ha un costo di 3000 Won che diventano 8000 se si vuole visitare anche il giardino segreto. Se invece si arriva al palazzo reale vestiti con l’abito tipico, il cosiddetto hanbok, noleggiabile in molti negozi intorno alla zona, l’ingresso è gratuito, quest’agevolazione non vale durante le aperture serali nel periodo estivo o per eventi speciali. Ad ogni modo preparatevi a trovare parecchia folla in visita al palazzo perché, come succede in molti siti super turistici, arrivano continuamente gruppi in visita che a volte non consentono una visita in tranquillità come invece accade nel piccolo ma assolutamente delizioso ed imperdibile, Jongmyo Shirne, un santuario tra i più antichi e autentici di tutta la Corea del sud inserito tra i beni Unesco, una perla trovata praticamente per caso seguendo un simbolo sacro indicato sulla mia mappa cartacea della città di Seul.
Il Jongmyo Shirne si trova in Jong-ro 157 ed arrivarci direttamente a piedi dal palazzo reale richiederà al massimo una ventina di minuti, passando tra le caratteristiche viuzze che costituiscono il quartiere Bukchon dove si trovano le antiche case coreane nelle quali spesso sono allestite piccole botteghe di artigianato e ostelli.
Il biglietto d’ingresso per il santuario Jongmyo costa solo 1000 Won e non nascondo di averlo visitato più volte durante la mia permanenza nella città, consacrandolo il mio posto del cuore a Seul. Questo è un luogo sacro per il confucianesimo, il giardino che lo circonda è molto curato ospita un piccolo laghetto che in inverno è completamente ghiacciato e dal quale si gode una vista molto suggestiva sulla Seul Tower, il simbolo futuristico della città che piano piano sta rubando la scena a quella che è stata per anni una città legata alle tradizioni e che oggi sembra sempre più distante da esse, propensa più che mai ad affermarsi come potenza economica.

Namsan Tower il simbolo indiscusso della città di Seoul

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Il simbolo della città di Seoul è sicuramente la sua torre,la Seoul Tower o Namsan Tower. Alta 236 metri e posta a 245 metri sul livello del mare, in posizione privilegiata rispetto al resto della città, la Seoul Tower merita quindi una visita, non fosse altro per il meraviglioso ed immenso panorama che si gode una volta arrivati al cospetto della torre.


La mia visita alla Seoul Tower fu lasciata al mio ultimo giorno di pemanenza in città,in attesa del mio volo di rientro in Italia a notte inoltrata, una giornata memorabile che ha lasciato un bellissimo ricordo di Seoul, nonostante la città non occupi per me i primi posti tra quelle città asiatiche che più amo.
Il nostro hotel a Seoul era distante dalla Seoul Station circa una decina di minuti a piedi, quindi molto favorevole per gli spostamenti sia a piedi che in metro.Lasciati gli zaini in uno dei tanti armadietti custoditi che si trovano sul piano principale della stazione, il cui costo per una giornata varia dai 400 agli 800 Won, poco meno di un euro,bisogna decidere quale sia l’uscita giusta da prendere per intraprendere il percorso giusto verso la Seoul Tower.

La stazione dei Treni di Seoul è molto grande,più simile ad un grande centro commerciale,nel quale non è subito facile orientarsi qui si possono trovare negozi di ogni genere, ristoranti e tutte le linee ferroviarie utili per spostarsi sul territorio coreano.
Dall’uscita numero uno ci si ritrova al cospetto di grandi grattacieli e per incamminarsi verso la Seoul Tower bisogna prendere come riferimento il Millenium Seul Hilton che si trova in via Sowol -ro numero 50, distante una decina di minuti a piedi dalla stazione. Giunti davanti al grande hotel a 5 stelle basta attraversare la strada per trovare le indicazioni per la Nam Mountain un monte alto 260 metri sulla quale si erge la torre. Oltre alle indicazioni per la montagna si trova anche quella per l’ingresso alla cable car con la quale si raggiunge la meta in pochi minuti, il costo del biglietto di sola andata è di 7000 Won, circa 5 euro.
Noi abbiamo scelto di raggiungere la Seoul Tower a piedi seguendo il sentiero immerso nel verde che offre la possibilità di gustarsi il panorama un po’ alla volta grazie alla presenza di piccole terrazze panoramiche. Va specificato che la salita è un pochino faticosa se non siete abituati e richiede fino ad un’ora di tempo se si vogliono fare anche un sacco di foto bellissime, mentre con la funivia ci vogliono dieci minuti, si può comunque optare di fare solo il percorso di discesa a piedi o viceversa.
Poco prima di arrivare in cima si trova il Jamdubong Island Photo dove si può ammirare forse la visuale migliore su tutta la città di Seoul è tutta la sua pazzesca estensione della quale ci si rende ben conto solo una volta arrivati in cima. Per accedere alla Tower è necessario un biglietto d’ingresso che si aggira intorno agli 8 euro. La torre offre la possibilità di accedervi sia di giorno che di notte e di pranzare o cenare nei ristoranti incorporati alla struttura che sono diventati un must per molti visitatori che ogni giorno dell’anno affollano l’emblema più futuristico della città di Seoul.

Namdaemun Market- tappa imperdibile di Seul

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Che in Asia i mercati siano una parte integrante del viaggio è risaputo, che si finisce con l’ingrassare almeno qualche chilo è altrettanto scontato, almeno se siete appassionati di street food perché i colori e gli odori soprattutto, non potranno che farvi cadere nella trappola del:- “oh Santo Cielo, voglio assaggiare tutto


Nonostante io sia vegetariana, parecchio attenta a ciò che metto sotto i denti, quando mi ritrovo a spasso in uno di quei mercatini asiatici che tanto amo non sempre sono così brava a resistere.

Seul non fa differenza da molte altre megalopoli dell’Asia e qui tra una grattacielo e l’altro, tra un monumento da vedere e l’altro, si aprono vicoli e vicoli dedicati alla gente che compra, mangia e fa le file. Già proprio così, fa le file, perché se è vero che a Seul siano in molti i baracchini che preparano all’istante i Tteokbokki, gnocchi di riso spesso immersi in un sugo di pesce, gli Hoddeok, deliziosi pancakes con cannella e nocciole all’interno, e molto altro ancora, ci sono dei venditori ambulanti che hanno la fama di essere i migliori e qui ci si deve mettere in fila e attendere anche a lungo, prima di essere serviti ma il gusto è assicurato e ripaga di ogni fremente attesa.
I mercati di Seul sono davvero tanti, alcuni anche per nulla frequentati turisticamente ma altrettanto interessanti, però diciamo che se dovessimo fare una classifica anche in base alla comodità della posizione il Namdaemun Market sarebbe all’apice.
Il Namdaemun Market si raggiunge in assoluta comodità anche a piedi se ci si trova nei pressi della stazione centrale di Seul, quindi ideale da visitare anche se si ha poco tempo in città, uscendo dalla Exit numero uno basta seguire le indicazioni per Seoullo, un grande parco futuristico costruito sopra un cavalcavia poco distante dalla stazione.
A piedi per arrivare al Namdaemun Market ci vorranno meno di dieci minuti e utilizzando proprio la passeggiata attraverso il Seoullo si avrà la possibilità di evitare gli attraversamenti agli incroci che sono comunque molto grandi e congestionati, l’aria che si respira è sempre la stessa ma almeno si avrà la libertà di fermarsi a fare foto ai tanti grattacieli della zona.
La cosa più bella dei mercati è il poter osservare la vita normale degli abitanti che fanno la spesa, chiacchierano e soprattutto bevono e mangiano come se il tempo non fosse passato mai e il mondo moderno con i suoi enormi aggeggi tecnologici sia indietro anni luce, qui serve solo un piccolo banchetto, una bombola del gas, una bella piastra per cuocere o una enorme padella per friggere.
Elencare tutto quello che si può mangiare a Namdaemun Market è quasi impossibile e a volte incomprensibile, visto che in pochi parlano inglese eccetto gli ambulanti più famosi ed abituati ai turisti che comunque sono tanti, quindi non resta altro che farsi inspirare dall’aspetto e spendere un euro o poco più per mangiare qualcosa che ci stuzzica la vista.

Nel mio caso ho la fortuna di avere una cavia al mio fianco sempre pronta a testare prima di me, almeno in quei casi in cui ho il dubbio di trovare come intruso della pietanza carne o pesce, eventualità non del tutto remota in Corea del Sud, dove il gran numero dei piatti è a base di questi due elementi.
Per fortuna però la mia inesauribile voglia di scoperta mi porta a documentarmi molto tempo prima su cosa potrei mangiare in un paese e seppur non sempre io trovi le risposte ai mie interrogativi, questo studio mi spinge quantomeno ad andare dritta verso ciò che apparentemente mi piacerebbe bere o mangiare, come è accaduto per il Sikhye una bevanda nazionale molto diffusa in Corea del Sud che però faticato non poco a trovare, probabilmente perché non è molto consumata in inverno, periodo nel quale sono stata in Corea del Sud. Il Sikhye è una bevanda simile ad un punch preparata con malto d’orzo e riso cotto che vengono fatti cuocere insieme fino a quando non diventano dolci. La bevanda va bevuta fredda e soprattutto in estate ha un forte potere rinfrescante, inoltre ad essa vengono associate proprietà digestive.
Il Namdaemun Market come del resto tutti i mercati di Seul hanno bisogno di molto tempo per essere visti in ogni suo vicolo all’ingresso vi è anche un punto d’informazioni turistiche dove si possono reperire anche le mappe della città e del mercato stesso, un tempo di permanenza quindi che può diventare assai lungo se siete golosi e curiosi, dopo tutto non può dirsi conosciuto un paese o una città senza un salto al suo mercato.

https://studio.youtuhttps://studio.youtube.com/video/rHgDo2gLJpk/editbe.com/video/rHgDo2gLJpk/edit

Volare a Seul per ricorrere alla chirurgia estetica nelle migliori cliniche del mondo

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Seul è una di quelle mega città che tanto sono famigliari al Sud est asiatico, vere e proprie piccole forze economiche in espansione che sempre più spesso diventano l’hub di molti cittadini del mondo impegnati in imprese economiche. Seul nonostante sia una bella città ha perso quel fascino unico del passato e si presenta come un’immenso e labirinto carico zeppo di tecnologia, lussi e stravaganze di ogni genere. A Seul si può giungere con una faccia e trasformarsi in una pin-up dei tempi moderni, con nuova labbra, seno abbondante e sedere all’insù. La Corea del Sud ed in particolare Seul, è la patria indiscussa della bellezza, le ragazze sono bellissime, curate nel viso quasi da sembrare imperfette, nessuna ruga, nessuna imperfezione e soprattutto mai un capello fuori posto. Nella città di Seul ci sono piani e piani di centri commerciali dedicati alla bellezza dove trovare maschere viso e ogni altro tipo di cosmesi finalizzato a rendere,non solo le donne ma anche gli uomini, piacenti a tutti i costi.


La blefaroplastica, detta anche correzione delle palpebre, è un’operazione che serve a dare all’occhio asiatico un aspetto più occidentale facendo apparire più grande lo sguardo. Una pratica questa che ha sollevato parecchie polemiche e che ancora continua a far discutere, responsabile di far perdere le connotazioni principali della popolazione.

Il quartiere più “estetico” di Seul è sicuramente Gangnam un quartiere reso celebre grazie al cantante coreano Psy. Gangnam è diventato negli anni la zona più lussuosa di Seul e non solo per la presenza di grandi firme internazionali ma anche perché questo è il quartier generale dell’estetica, con ben 500 centri estetici che offrono restyling di ogni genere e pacchetti completi anche con servizio di pick up dall’aeroporto. Riuscita garantita, convalescenza in ambienti confortevoli e una super e rapida guarigione, hanno spinto molte star internazionali a volare a Seul con l’obbiettivo “ritocchino perfetto”. Non è strano per una città come Seul vedere donne o anche uomini che non si vergognano a sfoggiare bendaggi di ogni tipo a testimonianza dell’ avvenuta riparazione estetica, pare che proprio in Corea lavorino i migliori chirurghi estetici del mondo.


Seul quindi è sicuramente un luogo adatto per chi è appassionato di cura personale e soprattutto vuole fare incetta di maschere di bellezza da riportare a casa, si vendono ovunque in confezioni da dieci e multipli e non è un caso che siano proprio i turisti a fare enormi scorte di questi elisir di bellezza. Unica attenzione alla quale prestare attenzione è la composizione degli ingredienti e soprattutto se siete soggetti dalla pelle sensibile, meglio preferire le maschere completamente vegane come quella al tofu, una vera meraviglia levigante, con risultati già con una sola applicazione. Un problema potrebbe essere la lettura delle etichette completamente in coreano per alcuni prodotti, in questi casi è meglio affidarsi ai prodotti con istruzioni e dettagli anche in inglese o ai commessi dei centri commerciali più forniti che generalmente parlano inglese o utilizzano un traduttore elettronico per comunicare, dopotutto siamo in Corea e la tecnologia va al passa anche con l’estetica.

Dotonbori, il cuore pulsante di Osaka

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Poco più di un’ora e dalla bella isola di Jeju si atterra in Giappone e più precisamente a Osaka che avrò sognato non so quante volte, dai tempi in cui il treno con a bordo Licia e i suoi amici “Kiss me” frecciava rapidamente da Osaka a Kyoto, o forse da quella volta il cui “Holly e Benji”….. Insomma avete capito o almeno spero! I primi dieci, venti od anche trenta, quaranta anni sono stati segnati da questi intramontabili cartoni animati ambientati proprio nella terra del Sol Levante. E nonostante Tokyo sia sempre stata nella hit parade delle città da vedere prima o poi nella vita è a Osaka che avevo lasciato il mio cuore.
Quindi quale occasione migliore se non un viaggio in Corea del Sud per volare a Osaka in poco più di un’ora. Dall’aeroporto fino ad arrivare a Mamba Station, uno degli snodi ferroviari più importanti del Giappone, l’impresa non è stata così ardua, scelto il treno e fatto il biglietto alle macchinette ci si immerge piano piano in questa realtà fatta di alti palazzi, baie trafficate di grandi navi e insegne psichedeliche. Sono proprio le luci, i suoni e i colori a lasciarmi letteralmente senza parole ,soprattutto quelli del quartiere più famoso e divertente di Osaka: Dotonbori.
Dotonbori si trova a poca distanza dalla stazione di Namba ed appena si esce dalla metropolitana si capisce già che si è arrivati in un altro mondo, negozi, ristoranti, sale da tè e qualsiasi altra attività commerciale si avvicenda tra una galleria e l’altra fino a trovare il cartello che indica la strada per raggiungere Dotonbori, quartiere che dopo qualche giorno a Osaka diventerà per noi tappa fissa dopo ogni giro in città e fuori dalla città.
La prima cosa che cattura la mia attenzione è il grosso granchio luminoso che altro non è che l’insegna del ristorante Kani Doraku una vera istituzione per i locali ed anche i turisti che si fermano prevalentemente per fare un mucchio di foto. Lo street food in questo quartiere di Osaka è davvero il suo fiore all’occhiello soprattutto se siete amanti del pesce, servito in tutte le salse ed in tutti modi che al contrario di quello che noi occidentali possiamo pensare non si utilizza solo per preparare il sushi o il sashimi. Peccato che per chi come me è vegetariano trovare qualcosa di adatto da mangiare è veramente un’impresa non da poco considerato che anche molte zuppe vegetariane hanno come base brodo di pesce, per fortuna mia però esiste il miso, le alghe e il matcha, oltre alla possibilità di trovare anche qualche involtino di riso con solo ripieno di verdura.
Dotonbori si sviluppa intorno al fiume omonimo e nel corso del tempo questo quartiere si è esteso tanto da diventare il fulcro del divertimento di tutta Osaka. Non sò per quale strano motivo il primo colpo d’occhio su questo grande canalone in cui scorre il fiume, con ai lati ristoranti e alti palazzi ha richiamato alla mia mente i Navigli di Milano, non che ci siano delle vere somiglianze architettoniche, almeno nei palazzi che lo circondano ma per la presenza di gente che, soprattutto a fine giornata riempie questa zona di allegria. Per chi non vuol perdersi la visione di Osaka dall’alto consiglio di fare un giro sulla ruota panoramica a forma ellittica specie al tramonto per rendersi ben conto di quanto la città sia estesa, l’ingresso alla ruota panoramica costa circa 8 euro circa. Oppure si può scegliere un bel giro in battello per godersi la visuale, altrettanto affascinante dal basso, le imbarcazioni partono ogni trenta minuti ed il costo è pari a circa 10 euro a persona. Esiste inoltre anche la possibilità di fare biglietti cumulativi con altre attrazioni cittadine come ad esempio con il meraviglioso castello di Osaka, altra meta imperdibile della città di Osaka, soluzione però congeniale solo se si conosce il giorno preciso in cui si visiteranno le attrazioni e l’orario d’accesso.
Ultima cosa non meno importante da fare a Dotonbori è quella di andare a caccia di manga e personaggi dei cartoni animati. Ci sono interi centri commerciali dove perdersi per ore dedicati ai beniamini delle serie animate(io sono a dir poco impazzita per cercare di trovare la fascia di Naruto per mio fratello)ma la cosa più divertente è che potrete trovare manga viventi in giro per le strade di Dotonbori, ragazzi o ragazze talmente appassionati del genere animato da vestire e acconciarsi come uno di loro, una consuetudine molto frequente non solo a Osaka ma in tutto il Giappone che mi ha fatto ancora di più apprezzare questa terra che lascia liberi di esprimersi e di essere quel che si vuole, proiettati al futuro certamente ma anche con un occhio di assoluto rispetto verso le radici storiche.